Il lungo viaggio delle parole senza cuore
“Il lungo viaggio delle parole senza cuore” potrebbe sembrare il titolo di una fiaba. L’intento, in realtà, è di attirare la tua attenzione su un argomento attuale e profondo: il rispetto per gli altri all’interno dei processi comunicativo-relazionali. Mi piace pensare che quando parliamo con qualcuno, ogni parola pronunciata inizi una specie di viaggio ideale, da noi al destinatario, seguendo una direzione precisa.
Com’è normale che accada, durante il percorso, è possibile che qualche ostacolo rallenti la trasferta: un po’ di traffico (incomprensioni/fraintendimenti), lavori in corso (distrazione dell’interlocutore), auto senza benzina o, comunque, con un equipaggiamento non adeguato (distrazione del mittente).
In questi casi, tollerare la frustrazione e saper sostare nell’incertezza, come dico sempre, aiuta a facilitare la ricerca di soluzioni positive e condivise. Le nostre parole non riescono a raggiungere l’interlocutore come avremmo sperato? Una volta individuato insieme il problema, sarà la volontà di comprendersi a vicenda a ripristinare il danno. Il feedback verrà in conseguenza, perché non esiste una tensione di fondo.
Le parole senza cuore arrivano sempre a destinazione
La tensione è percepibile in altre circostanze: quando il viaggio riguarda le parole senza cuore… è molto difficile che il mittente sia distratto. Né che ci sia una coda al casello, diciamo così. Il motivo è chiaro: chi vuole offendere, aggredire, prevaricare, trova sempre il modo di raggiungere il suo ricevente.
Per riuscirci, infatti, sceglie termini ben precisi, frutto di un’analisi certosina, consapevole che ogni parola si trasformerà in una scheggia. Ed è proprio l’effetto che vuole ottenere, d’altronde: colpire la persona nel suo punto debole. Il viaggio delle parole senza cuore è lungo perché non finisce alle orecchie di ascolta. O agli occhi di chi legge (se parliamo di messaggi, lettere o mail). No.
Questo tipo di parole ha la capacità di scavare un solco profondo nell’anima del destinatario, nei suoi pensieri e nei suoi ricordi. Ha il potere di riaprire ferite e vecchi libri chiusi.
La convinzione di “buttare lì un parere”, pensando di dare solo un’opinione, senza preoccuparsi minimamente dell’altra persona, è alla base dei principali conflitti comunicativi moderni.
Ciò può avvenire tra chi si conosce bene (cosa che amplifica il dispiacere, perché distrugge il clima di fiducia presente in ogni relazione costruttiva) oppure tra estranei (pensiamo alle conversazioni sui social network, sui più svariati temi).
Espressioni infelici, prive di rispetto e sensibilità
Una recente campagna pubblicitaria, dedicata alla moda curvy (o per “taglie morbide”, come si dice), ha scatenato un susseguirsi di commenti offensivi sulla pagina Facebook di un celebre negozio online.
Tali commenti, ovviamente, erano rivolti alle modelle, criticate per la loro fisicità.
Non è la prima volta che accade e non penso sarà l’ultima. Nonostante i numerosi passi avanti, grazie anche a progetti di sensibilizzazione sulla bellezza della diversità, ritengo che il problema sia un altro.
“Brutto”, “grasso”, “negro”, “basso”, “zingaro”, sono termini infelici, pronunciati (o scritti) con disprezzo, rafforzati da una sottile cattiveria intenzionale e una totale mancanza di sensibilità. Non fermiamoci solo alla parola in sé, ma stiamo attenti a certe espressioni. Quando sentiamo dire: “tu non puoi capire perché non hai figli”, “tanto tu che problemi hai?”, pensiamo a quali conseguenze può avere una considerazione simile? Conosciamo il percorso di vita della persona a cui ci rivolgiamo? Sono solo piccoli esempi, ma contengono una grande verità: oggi parliamo troppo senza pensare. Senza capire che la nostra noncuranza comunicativa può sgretolare delicati equilibri faticosamente raggiunti.
Scegliere le parole giuste (con il cuore)
Le parole senza cuore nulla hanno in comune con le cosiddette “parole giuste”. Ma quali sono, alla fine, le parole giuste? A mio umilissimo parere, sono quelle che rispettano la dignità, il contesto di riferimento, quelle messe in fila con criterio e non per dare aria ai denti. Sono le parole pronunciate con sentimento, attenzione per la sensibilità dell’altro, per la sua diversità culturale e caratteriale.
Chi usa le parole giuste non ha bisogno di urlare: sa sempre cosa dire e come dirlo, sa farsi ascoltare, non ha pregiudizi e non offende. Le parole giuste, spesso, sono anche quelle che non diciamo, perché ci rendiamo conto che sarebbero superflue o fuori luogo. Le parole giuste sono quelle in cui un cuore c’è, eccome. Sarà per questo che il loro viaggio è breve? Credo proprio di sì.
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