Giovani e lavoro: un altro punto di vista

Scrivo il post dopo aver letto numerosi articoli che descrivono la situazione attuale della generazione nata tra gli anni ’70 e ’80. Quella di cui faccio parte, ahimè. Per questo motivo vorrei condividere un altro punto di vista sull’argomento, che sono certa darà voce a tanti giovani di cui non si parla o di cui, comunque, non si parla abbastanza. Buona lettura, lascerò a voi le riflessioni.

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photo credits: karl chor via unsplash.com

Il luogo comune è sempre dietro l’angolo

Quando si inizia a discutere sulla vita di trentenni e quarantenni, la voglia di giudicare è immediata. Ci si lascia condizionare troppo facilmente da giornali e telegiornali, da opinionisti vari e da servizi spesso approssimativi, per nulla aderenti alla realtà (che, diciamolo, è ben più complicata di ciò che sembra, di ciò che potremmo immaginare e di ciò che vorrebbero farci credere).

Fare informazione è difficile, per carità. È difficile reperire fonti attendibili, è difficile documentare con cura tutti gli aspetti di un problema, è difficile raccontare e mantenere il proprio stile senza urtare la sensibilità di qualcuno (e le regole imposte dal datore di lavoro). Tuttavia, sarebbe il caso di sganciarsi dalla solita logica del sensazionalismo, indagare più a fondo e offrire nuove prospettive.

I giovani e il peso delle parole

Abbiamo iniziato con il termine “bamboccione”, seguito da una serie di altri meravigliosi complimenti: “siete l’Italia peggiore”, “siete sfigati”, “siete choosy”. Il riferimento è proprio ai giovani, naturalmente. Quelli che alla soglia dei 30 anni devono ancora laurearsi, quelli che a 35 anni vivono ancora a casa con i genitori, quelli che a 40 anni guadagnano meno di mille euro e non hanno figli.

Il tono accusatorio, utilizzato da chi avrebbe dovuto trovare una soluzione efficace, alla fine non ha fatto altro che amplificare il malessere. Un malessere silenzioso, pienamente comprensibile solo da chi lo vive, che non potrà mai essere alleviato da frettolosi giudizi! L’intento è quello di spronare? Non credo proprio. E se anche fosse… perché comunicare in tal modo? Quale via avete indicato?

La forza di chi affronta un problema nel problema

Come in molti altri casi, nel corso della vita, sarebbe meglio pensare prima di parlare e, soprattutto, chiedersi: “ma io, dalla mia poltrona dorata, posso davvero giudicare?”.

Sono stati scritti articoli molto belli, che illustrano nei particolari la situazione odierna. Sono stati scritti libri che raccontano per filo e per segno le difficoltà di chi non riesce a trovare lavoro, di chi lo trova e non viene pagato, di chi viene licenziato, di chi viene maltrattato, di chi decide di fare le valigie e andar via, di chi decide di tornare e ricominciare… Peccato manchi, ogni volta, un’altra categoria: quella di chi non può decidere. Di chi deve affrontare un problema nel problema.

Non esistono solo i giovani di cui si parla in Tv, fuori corso all’università o “parcheggiati” da mamma e papà. Quelli che “ricevono la paghetta”, per intenderci (un altro luogo comune assurdo!).
Ce ne sono, certo, ma, come ho evidenziato all’inizio, sarebbe necessario andare più a fondo e capire quanti tra questi siano davvero “pigri” e quanti, al contrario, siano attori non protagonisti di una vita difficile, che spesso ti sorprende… senza chiedere la tua opinione. Ecco, vorrei dare voce, in particolare, ai giovani ammalati o a chi si trova a gestire gravi malattie in famiglia.

Alle difficoltà già menzionate (aver raggiunto un’età importante, non avere un lavoro stabile, non aver costruito una famiglia, non vivere per conto proprio), infatti, c’è chi deve aggiungere un’ulteriore preoccupazione: dover combattere una battaglia che richiede forza, pazienza, speranza e… tante risorse economiche (per visite specialistiche, medicinali, accessori, viaggi A/R causa terapie ecc.) che non sempre si possiedono. Uno stress emotivo che sfido chiunque a gestire.

Le soluzioni concrete sono figlie dell’esperienza reale

In simili circostanze non si ha la libertà di dire “voglio fare questo”, “voglio fare quello”.
Il motto “volere è potere” ha delle eccezioni. Non tutte le opportunità possono essere colte e ciò penalizza chi, paradossalmente, avrebbe bisogno di aiuto. Pensiamo anche al luogo comune dei fuori corso: se certi problemi si presentassero durante gli studi universitari? Non sempre ci si laurea in ritardo perché non si ha voglia di studiare! Potrei continuare con gli esempi… ma mi fermo qui.

L’ho scritto spesso nei miei articoli, dobbiamo imparare a dosare le parole e non generalizzare.
Dalla poltrona dorata tutto sembra facile, si pensa di risolvere temporaneamente i problemi con contentini vari, ma credo che il bicchiere sia colmo. È arrivato il momento di scendere dal piedistallo, sporcarsi le mani e capire quali siano le priorità. A tal proposito, ecco un evergreen di mia nonna:

Camminate vicino a me, ogni santo giorno. E poi ne riparliamo.