Comunicazione trasparente: il bello, il brutto, i risultati
Preferire una comunicazione trasparente, manifestare sempre con chiarezza le proprie intenzioni, opinioni, iniziative, è una scelta saggia. Anzi, di più: è un atto di grande coraggio.
Tuttavia, in questo articolo vorrei porre in evidenza sia il bello, sia il “brutto” della trasparenza, diciamo così. Operare con autenticità e senza sotterfugi, infatti, ha tantissimi lati positivi, ma anche qualche piccolo effetto collaterale: il famoso “prezzo da pagare”, le “conseguenze indesiderate”.
Per esempio, è giusto spiegare cosa accade quando la sincerità non è reciproca, quando l’espressione “essere trasparenti” è vissuta come una condizione e non come una scelta.
Abbandonare pregiudizi, stereotipi e comode idealizzazioni, ci aiuta a considerare la realtà in modo obiettivo: un bicchiere è mezzo pieno e, al tempo stesso, mezzo vuoto. Perché escludere una visione?
Comunicazione trasparente: questione di responsabilità
Parlare di “comunicazione trasparente” o “comunicazione responsabile” è la stessa cosa, secondo me.
Come ho già scritto in un mio vecchio post sul tema:
Se un’azienda si definisce “responsabile”, dovrà agire come tale. Impegnarsi a rendere concreti i suoi slogan. Parole e fatti hanno pari importanza, c’è sempre una connessione.
In ambito commerciale, innanzitutto, il venditore o fornitore deve illustrare in modo comprensibile e accessibile a tutti, le caratteristiche e le funzionalità dei suoi servizi e prodotti, i prezzi, le condizioni di acquisto e ogni altra informazione necessaria ad agevolare le scelte del consumatore.
Ugualmente, la normativa sulla trasparenza bancaria ha l’obiettivo di rendere più consapevole il cliente in merito all’acquisto dei prodotti bancari e finanziari; mentre, nel settore alimentare, l’attenzione si concentra sulle etichette descrittive, che hanno il compito di rimarcare la provenienza, i valori nutrizionali e altre specifiche dei cibi (es. i marchi di qualità, come “DOC”, “DOP” o “BIO”).
Va da sé che la mancanza di responsabilità in questi contesti crea numerosi danni, individuali e sociali.
Oltre a mettere a repentaglio un valore essenziale dei rapporti umani, la fiducia, il rischio è soprattutto quello di distruggere l’economia virtuosa, fonte di sviluppo collettivo (“win-win situation”).
Per approfondire questo aspetto, potrebbe essere interessante leggere un saggio di Daniel Goleman, Warren Bennis, James O’Toole: “Trasparenza. Verso una nuova economia dell’onestà” (Rizzoli).
Trasparenza amministrativa e informativa
Il Freedom of Information Act (FOIA) è una legge che tutela la libertà d’informazione e il diritto di accesso agli atti amministrativi. In Italia, in particolare, corrisponde al decreto legislativo 25 maggio 2016 n. 97, che ha introdotto una serie di modifiche alla normativa sulla trasparenza, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini e promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa.
L’obiettivo del FOIA è dunque promuovere una maggiore trasparenza nel rapporto tra le istituzioni e la società civile e incoraggiare un dibattito pubblico informato su temi di interesse collettivo.
– fonte: https://www.foia.gov.it/foia/ (FOIA – Centro nazionale di competenza)
Se la ricerca di soluzioni adatte a contrastare disonestà e corruzione è di fondamentale importanza per ciascuno di noi, lo è altrettanto l’impegno a semplificare il linguaggio.
Una comunicazione trasparente è, prima di tutto, comprensibile. Chi informa, chi spiega, chi amministra, ha il dovere di farsi capire. Oltre, naturalmente, a garantire l’attendibilità dei contenuti condivisi.
Includere “i lettori dimenticati” era la mission della rivista “Due parole. Mensile di facile lettura”, pubblicata per la prima volta nel 1989. Ne ha parlato, tra l’altro, Luisa Carrada su “MdS – Mestiere di Scrivere”, evidenziando la bellissima citazione del linguista Tullio De Mauro (visibile sulla home page del giornale):
Le parole sono fatte, prima che per essere dette, per essere capite:
proprio per questo, diceva un filosofo, gli dei ci hanno dato una lingua e due orecchie.
Chi non si fa capire vìola la libertà di parola dei suoi ascoltatori.
È un maleducato, se parla in privato e da privato.
È qualcosa di peggio se è un giornalista, un insegnante,
un dipendente pubblico, un eletto dal popolo.
Chi è al servizio di un pubblico ha il dovere costituzionale di farsi capire.– cit. Tullio De Mauro, in www.dueparole.it
Comunicazione trasparente e relazioni quotidiane
È doveroso essere chiari quando si scrive, ma anche quando si parla.
Preferire una comunicazione trasparente non è certo facile, né sempre conveniente, ma rende forti nel lungo periodo. Inutile avere un “manifesto dei valori” se, alla prima occasione, si è pronti/e a calpestarli.
Essere trasparenti è una scelta positiva sempre, tranne quando diventa una condizione. In un gruppo di lavoro, per esempio, può accadere che alcuni siano costantemente ignorati, con pesanti conseguenze emotive e produttive. In questo caso, non si decide di essere trasparenti, ma si “percepisce” di esserlo.
Una sensazione per nulla rassicurante che possiamo ritrovare, purtroppo, anche nelle relazioni personali. Quando la sincerità non è reciproca, quando uno tende la mano e l’altro la ritrae, quando c’è apertura, schiettezza, voglia di condividere, ma solo da una parte… è inevitabile che il rapporto diventi sbilanciato.
Un’azienda, si sa, agisce in modo sleale per interessi economici. Ma nel quotidiano? In famiglia o con gli amici? Quale risultato si vuole ottenere? Cosa spinge una persona a essere ambigua, mentire, omettere?
Perché, spesso, la mancanza di trasparenza si manifesta proprio nei confronti di chi ci è più vicino?
Un modo per difendersi dalle personali insicurezze? Un atteggiamento studiato per manipolare gli altri? Qualunque sia il motivo, ricorda il pensiero di Sartre: “Ogni parola ha conseguenze. Ogni silenzio anche”.