Facilitare per evolvere: i consigli di “TARA facilitazione”
Facilitare i processi comunicativi aiuta a costruire relazioni solide e durature.
Se ciò è importante a livello personale, lo è ancora di più in ambito professionale. Ne sanno qualcosa Melania Bigi e Ilaria Magagna, esperte di evoluzione organizzativa e fondatrici di “TARA facilitazione”.
Ilaria e Melania lavorano con i team, con le imprese che fanno della sostenibilità e dello sviluppo del territorio il motore principale della loro crescita. La vision che le guida è generosa e coraggiosa:
Ci occupiamo del benessere dell’azienda facilitando il potenziale umano,
perché l’organizzazione crei valore per sé, le persone e il mondo. – (cit.)
Non aggiungo altro, ma ti invito a leggere con attenzione l’intervista che le ha coinvolte.
Traspare l’amore, la cura, l’entusiasmo con cui queste 2 brave professioniste operano, dal vivo e online.
1. Ciao Ilaria e ciao Melania, benvenute sul mio blog e grazie per la disponibilità. Iniziamo subito con le cosiddette “domande di routine per una facilitatrice”: che cos’è la facilitazione? A che cosa serve?
Ciao, grazie a te per volerci intervistare.
La facilitazione è qualcosa di ancora poco conosciuto e quindi più se ne parla meglio è!
La facilitazione è un insieme di strumenti, tecniche e attitudini che supportano il team nel suo lavoro.
Per fare una sintesi estrema, possiamo dire che sono 3 le grandi aree su cui lavora la facilitazione.
- Lo scopo/obiettivo: perché stiamo insieme.
- I processi: come vogliamo farlo e con quali strumenti.
- Le persone: chi siamo e che dinamiche alimentiamo all’interno del gruppo.
Efficacia, benessere, produttività non derivano solo da un buon prodotto/servizio, o da un buon progetto, ma molto dalla soddisfazione e dal coinvolgimento delle persone che lavorano insieme, da obiettivi e visioni condivise e da processi chiari e partecipati.
Per noi è importante sottolineare che la facilitazione non dà risposte o soluzioni ma crea spazi affinché queste emergano dal gruppo con cui si sta lavorando. La facilitazione fa leva sull’intelligenza collettiva che permette di amplificare le possibilità e di tracciare strade impensate se a decidere sono solo pochi.
2. Com’è nato il progetto “TARA facilitazione”? Quali sono i vostri obiettivi?
TARA è nata da un innamoramento e da una sfida.
L’innamoramento è quello che entrambe abbiamo per il nostro lavoro e per le trasformazioni che negli anni abbiamo visto accadere nei team attraverso, spesso, semplici azioni. La sfida è quella di portare parole come relazioni, ascolto, fiducia, felicità in azienda. Quando abbiamo scoperto il mondo della facilitazione entrambe venivamo da esperienze fallimentari nel lavoro in team. La cosa più dolorosa per noi era che entrambe credevamo profondamente nella forza del gruppo.
Uno studio giapponese ha dimostrato che il rapporto tra singolo e gruppo è di 1 a 200! Quando lavoriamo in team abbiamo 200 possibilità in più! Ma lavorare in team non è facile, perché il gruppo amplifica tutto: 200 possibilità in più ma anche 200 conflitti in più! E così piano piano siamo andate a cercarci gli strumenti, le metodologie e le esperienze che ci aiutassero ad aiutare chi lavora in gruppo.
E la cosa sorprendente è che la maggior parte di essi non li abbiamo trovati in campo aziendale dove l’approccio al lavoro di squadra ha da sempre cercato nuove soluzioni, ma nel mondo del no-profit: del volontariato, dell’associazionismo, delle cooperative dove il collante sono, spesso, una grande visione e delle forti relazioni.
Per un po’ di anni abbiamo lavorato, sperimentato, studiato la partecipazione, l’engagement delle comunità, la gestione dei conflitti e l’effetto della leadership nelle organizzazioni.
Poi, ad un certo punto, ci siamo chieste dove le nostre competenze e la nostra esperienza avrebbero avuto un maggior impatto (come donne e madri abbiamo sempre cercato di fare del nostro lavoro uno strumento di cambiamento e consapevolezza). Così ci siamo rese conto che volevamo andare lì dove le persone passano la maggior parte del loro tempo: al lavoro.
Per questo TARA è nata per supportare organizzazioni e imprese in trasformazione attraverso nuovi strumenti. Strumenti che mettono al centro le persone, la loro felicità, il loro potenziale e soprattutto il loro potere. Attraverso la facilitazione vogliamo contribuire a creare spazi dove ognuna e ognuno siano messi nelle condizioni di esprimere il meglio di sé e di agire il proprio potenziale. Questo fa bene al singolo, all’impresa che potrà contare su persone motivate, creative e propositive, e alle comunità dove quell’impresa opera e quelle persone vivono.
3. Facilitare la partecipazione aiuta a sviluppare comunità. Cosa significa per voi, oggi, “costruire una comunità”?
Con “Comunitazione” (l’organizzazione con cui abbiamo lavorato prima di fondare Tara) abbiamo operato per anni con le comunità. Le abbiamo conosciute e sperimentate da vicino nella loro bellezza estrema e nella loro difficoltà. Costruire una comunità significa per noi dare risposte nuove a quelle che sono le sfide maggiori del nostro tempo. La povertà, l’isolamento, la mancanza di lavoro, le emergenze sanitarie e ambientali e molte altre.
Costruire comunità oggi significa allenare resilienza: da solo non ho la stessa forza, flessibilità e coraggio che ho con altri. È come quello che dicevamo sopra sui gruppi. Ho 200 possibilità in più di trovare soluzioni.
La comunità è uno spazio dove si può sperimentare in piccolo ciò di cui si ha bisogno nel grande. A livello sistemico il mondo è costituito da comunità e le comunità da persone. Per dialogare efficacemente con il mondo il singolo ha bisogno della forza amplificatrice di una comunità e, viceversa, le comunità per essere efficaci hanno bisogno delle persone. Di persone che l’attivino, la spronino, la facciano vivere.
La relazione tra il singolo e le comunità è una relazione che negli anni è stata sinonimo di sopravvivenza ma anche di prevaricazione e quindi per un lungo periodo sono state abbandonate. Noi crediamo che oggi le comunità sono tornate al centro dell’agire politico e culturale di un paese.
Le comunità sono un’opportunità sociale potentissima.
Sono il luogo dove sperimentare nuove forme di economia, di relazione, di politica.
E di tutto questo ne abbiamo profondamente bisogno.
4. Facilitare online, facilitare dal vivo: quali sono le principali criticità da affrontare e, al tempo stesso, le opportunità da cogliere?
Pensa che per noi, fino a pochi mesi fa, la facilitazione online era considerata impossibile… e tutt’a un tratto si è trasformata in una necessità…
Spesso lavoriamo con i gruppi sul trasformare un momento di crisi o una difficoltà in opportunità. Questo è più facile a dirsi sulla carta che a farsi! E anche per noi è stato così: quello che a prima vista era un ostacolo è diventato, piano piano, un’esperienza nuova, creativa e con un sacco di possibilità in più!
Innanzitutto noi abbiamo sempre viaggiato molto per il nostro lavoro.
Ora viaggiamo in maniera diversa, più sostenibile, raggiungiamo più luoghi e persone in contemporanea e permettiamo a chi difficilmente si sarebbe potuto permettere un viaggio per una formazione o per una facilitazione di raggiungerci comodamente da casa!
Certo la relazione che si crea dal vivo e le possibilità di lavoro, rispetto all’online, sono infinite. Quando lavoriamo, ogni canale di comunicazione, non solo quello verbale, diventa fonte di informazione e di feedback che ci permette di aggiustare in corso d’opera il nostro lavoro per rispondere ai bisogni del gruppo (posizione e movimenti del corpo, spazio, contesto, emozioni…).
Ma stiamo provando a sperimentare tutto questo anche online chiedendo ai partecipanti di abbandonare la posizione frontale e di muoversi e interagire in maniera diversa anche sul web.
Abbiamo imparato a usare strumenti che permettono l’interazione anche online di tutti i partecipanti.
Ci divertiamo a sfidare i nostri pregiudizi sempre un po’ di più!
E a trasferire i giochi che usavamo dal vivo anche online!
L’online è veloce, leggero, democratico, sostenibile e in continua trasformazione.
Il lavoro dal vivo è profondo, emozionante, giocoso, intenso, insostituibile.
5. Ogni persona ha un potenziale che, a volte, rimane inespresso. Secondo voi perché? Cosa si può fare per valorizzare le risorse presenti nel proprio gruppo di lavoro e favorire un’evoluzione organizzativa?
Perché il potere fa paura. Il potenziale ha a che fare con il potere, e spesso, con il potere abbiamo una relazione difficile. In questo senso usiamo la parola potere non come posizione sociale o all’interno di un’organizzazione, ma come potenziale umano.
Ci hanno insegnato (a noi donne soprattutto) a fare meno, a essere meno, a non disturbare, a occupare meno spazio. Nell’idea, forse, che il potere è a somma zero. Cioè che se io ce l’ho lo tolgo a te e viceversa. Nella nostra esperienza con i gruppi e le comunità, invece, è vero esattamente il contrario. Più le persone sono in contatto con il proprio potenziale più tutto il gruppo di lavoro ne beneficia.
Un team con tante persone potenti è un team tanto potente.
Sicuramente il lavoro alla scoperta del proprio potere è prima di tutto un lavoro personale che, in molti casi, investe tutta la vita. Allo stesso tempo il lavoro in team amplifica le possibilità che noi vi entriamo in contatto. In un team possiamo trovare spazio per crescere e avvicinarci alla miglior versione di noi stessi o mortificarci ed essere costantemente messi a tacere.
Molto dipende dalla cultura aziendale e da come i leader di quell’azienda impostano il lavoro.
L’evoluzione organizzativa, secondo noi, va di pari passo con l’evoluzione delle persone che vi lavorano.
Più io mi sento visto, ascoltato, responsabilizzato, più darò il meglio di me e questo necessariamente avrà un impatto positivo sull’organizzazione e la sua crescita.
Nel libro di Frederic Laloux (Reinventare le organizzazioni) si racconta di come molte aziende, per fortuna, stiano passando da un paradigma in cui il dipendente era considerato prevalentemente pigro, mosso dall’incentivo economico, poco responsabile e quindi continuamente bisognoso di essere controllato, di avere un capo e linee guida per sapere cosa fare, a un paradigma in cui le persone sono adulti creativi, affidabili e responsabili che desiderano lavorare in luoghi ricchi di senso e dove poter produrre valore. Insomma, persone che desiderano dare un contributo per sentirsi soddisfatte, felici e coinvolte.
Perché ciò avvenga è necessario lo sforzo di tutti, ma in particolare di chi occupa posizioni di leadership, per creare team in cui a tutte e tutti venga data la possibilità di sperimentarsi, provare, sbagliare e crescere e dove venga alimentato un clima di fiducia, ascolto e collaborazione piuttosto che di competizione.
6. Buoni propositi per il futuro: migliorare il mondo utilizzando la facilitazione. Quali strumenti possono aiutarci a guardare le cose con occhi nuovi e generare sviluppo nel contesto in cui ci troviamo?
Più che strumenti direi attitudini. Una fra tutte lo sguardo apprezzativo. Uno sguardo capace di vedere nelle cose, nei contesti e nelle persone, le risorse e il potenziale presenti e partire da lì per generare possibilità. Questo non significa eliminare dalla nostra vista ciò che non funziona ma decidere dove mettere energia, soldi, tempo. La maggior parte delle volte facendo leva su questi elementi positivi si riesce a dare risposta a ciò che non va.
Ci piace pensare che, nel contesto aziendale, possano emergere sempre più leader generativi, che non hanno paura cioè di generare altri leader oltre a sé. Questo permette di moltiplicare le possibilità: se io ho un problema e sono da solo troverò una sola soluzione, ma se sono insieme ad altre persone che possono far sentire la loro voce troverò molte più soluzioni o, meglio, una soluzione molto più soddisfacente e innovativa perché composta degli sguardi e delle esperienze di tanti.
Quindi, oltre a questo tipo di attitudine, serve la volontà di creare spazi perché i processi decisionali vengano condivisi e la collaborazione diventi un modo per lavorare, studiare, crescere.
Certo: collaborare, decidere insieme, co-progettare hanno bisogno di strumenti e metodi che la facilitazione può insegnare ma senza la volontà, senza una scelta di andare in quella direzione, poco si può fare. Sia in campo organizzativo che in campo sociale.
Ringrazio Ilaria e Melania per aver condiviso con grande altruismo idee, impressioni ed esperienze.
TARA facilitazione ci aspetta su Facebook e Instagram… per continuare a crescere insieme.