Comunicazione efficace in ambito sanitario
Quando parliamo di comunicazione efficace in ambito sanitario dobbiamo ricordare, innanzitutto, che le parole creano relazioni e, spesso, hanno un grande valore terapeutico: è importante sceglierle con criterio, specie quando i protagonisti della conversazione sono il medico e il suo paziente.
Tra l’altro, poiché “non si può non comunicare”, come affermato da Paul Watzlawick nella celebre opera Pragmatica della comunicazione umana, bisogna tenere presente che ogni nostro comportamento è comunicazione: la gestualità, la mimica facciale, la scelta di rimanere in silenzio.
Per comunicare in ambito sanitario, dunque, il professionista deve dimostrare competenza nella sua materia, per curare le patologie del corpo e della mente, ma deve anche conoscere le tecniche comunicative più idonee a favorire un buon rapporto con gli assistiti.
Tra medici e pazienti comunicare bene è già una “terapia”.
– prof. Umberto Veronesi (rubrica La nostra salute – Domande di Oggi – n.24/2008)
Se tutto ciò è vero considerando il binomio medico-paziente, lo è altrettanto (e, forse, in maggior misura) per le relazioni interne tra primario e collaboratori, tra medici e infermieri, tra colleghi di pari grado, tra personale sanitario e personale amministrativo.
Comunicazione efficace tra operatori sanitari
Martedì scorso ho seguito la prima puntata della serie tv The Good Doctor, su Rai1. Ho apprezzato molto la linea narrativa e ne ho tratto diversi spunti utili che mi hanno ispirata a scrivere questo post.
Il protagonista, Shaun Murphy, è giovane chirurgo affetto da autismo, che abbandona la sua tranquilla vita di campagna per trasferirsi in città e unirsi all’unità di chirurgia pediatrica di un prestigioso ospedale.
Le sue qualità distintive sono l’onestà (dice sempre ciò che pensa, anche rischiando di esagerare) e l’intuizione (che gli consente di prendere la decisione giusta al momento giusto e in breve tempo).
La serie mette in luce problematiche facilmente riscontrabili in qualsiasi ambiente lavorativo:
- invidia tra i componenti del team;
- fastidio nei confronti dell’ultimo arrivato;
- negazione dei meriti altrui (tramite falsa indifferenza o auto-attribuzione ingiusta di idee non proprie);
- ritrosia a includere nel gruppo di lavoro una persona con disabilità o con difficoltà di altra natura.
Shaun dimostra in più occasioni di essere un medico brillante, capace di salvare vite con una disinvoltura tale da creare imbarazzo/nervosismo tra colleghi e superiori.
Questi ultimi, a causa dei loro pregiudizi e dell’immancabile superbia, trattano il ragazzo con sufficienza, rispondono in modo sgarbato alle sue domande. Durante una conversazione, però, la schiettezza del giovane chirurgo toglie la parola al responsabile d’équipe:
Lei è un bravo medico, avrò molto da imparare. Però è anche arrogante.
A cosa le serve, nel suo lavoro, essere arrogante?
L’arroganza è ciò che di peggio possa esistere negli ambienti lavorativi (e non solo). La mancanza di ascolto, la presunzione di essere i migliori o di avere sempre la risposta adeguata perché a capo di una squadra, rallenta l’operatività generale, genera rancori e rivalità interne: l’assenza di collaborazione, soprattutto in ambiente ospedaliero, rischia di compromettere la qualità del servizio, la lucidità di chi è chiamato a prendere decisioni tempestive e, di conseguenza, la serenità dei degenti.
L’importanza della comunicazione in sanità: il coinvolgimento emotivo
Al tempo stesso, l’arroganza esercitata nei confronti dei pazienti, che spinge i medici a dare spiegazioni frettolose e utilizzare un linguaggio freddo, pieno di tecnicismi/sigle incomprensibili, peggiora lo stato di salute di chi è ammalato e il precario stato emotivo dei familiari (che, al contrario, avrebbero bisogno di supporto, incoraggiamento e anche qualche sorriso ogni tanto, diciamolo!).
Il coinvolgimento emotivo può di certo provocare disagio in chi è costretto ad affrontare emergenze ogni giorno, ma è anche necessario per sviluppare una comunicazione virtuosa, attenta ai bisogni della persona sofferente. È giusto che il medico sia autorevole e dimostri fermezza nel consigliare un percorso di cura, ma è essenziale sollevare psicologicamente il paziente, per distruggere convinzioni sbagliate tipo “sono malato, non guarirò mai” e alimentare, al contrario, una buona percentuale di fiducia.
A volte, anche solo prospettare una migliore qualità di vita può donare conforto: trasmettere una speranza non significa illudere, ma rendere meno gravosa l’accettazione della diagnosi e di una terapia.
Poi, quando di speranza è davvero impossibile parlare, scegliere le parole giuste e utilizzare un po’ più di sensibilità comunicativa, per dare modo di metabolizzare una cattiva notizia, diventa doveroso.
Prendersi cura di sé e degli altri, rendere umano un ambiente di cura
Ogni paziente è diverso dall’altro, ha una storia, una personalità e conseguenti bisogni/aspettative. Lavorare sul suo stato emotivo significa aiutarlo a non subire passivamente un trattamento ed essere parte attiva nel processo di cura. Investire nella qualità delle relazioni penso sia una priorità.
Il documento OMS Salute 2020 di orientamento delle politiche sanitarie europee e nazionali focalizza l’attenzione su alcuni punti chiave, tra cui l’esigenza di rafforzare i servizi sanitari mettendo al centro la persona e creare ambienti favorevoli al benessere e alla salute individuale e comunitaria.
Il progetto “Umanizzazione dei Luoghi di Cura. Costruire luoghi e spazi di ben-essere per curati e curanti del blocco operatorio dell’A.O. Ordine Mauriziano”, a tal proposito, è un esempio da seguire: nasce dal bisogno di prendersi cura di sé, come professionisti, e degli altri (pazienti e colleghi), sviluppando ambienti accoglienti, attrezzati, colorati, in cui sia piacevole lavorare, sia essere assistiti per il tempo che serve.
In un ospedale della mia regione hanno riempito le pareti con disegni realizzati da bambini e ragazzi delle scuole primarie e secondarie: posso dire che attraversare i reparti è molto più piacevole, così come è apprezzabile incontrare personale gentile e leggere istruzioni comprensibili.
Per ottenere una comunicazione efficace in ambito sanitario, alla fine, il segreto è sempre lo stesso: essere professionali, restare umani.