La funzione educativa della comunicazione
La funzione educativa della comunicazione si esplica nella capacità di trovare modi, tempi, motivazioni e contesti adeguati per la condivisione di un messaggio, senza essere banali, superficiali o fuori luogo.
I professionisti del settore, a maggior ragione, dovrebbero condividere contenuti curati, sia da un punto di vista formale, sia argomentativo. Ciò, purtroppo, non sempre accade (con le conseguenze del caso).
Per approfondire la questione ho chiesto supporto a Carmelo Giancola, founder dell’agenzia CODENCODE e autore, insieme ai vari componenti del suo team, del blog Pensieri laterali.
Ci siamo trovati d’accordo più di una volta, specie su quanto sia delicato il ruolo di chi si occupa di comunicazione, sulle sue responsabilità (non solo all’interno della propria bolla, diciamo così, ma soprattutto nei confronti dei non addetti ai lavori). Da qui l’idea di organizzare un’intervista a tema.
Consiglio di non perdere una virgola, perché merita. Buona lettura!
1. Ciao Carmelo, ti ringrazio per la partecipazione. La tua agenzia CODENCODE si occupa di branding, design e marketing: quali dovrebbero essere, in linea generale, le competenze indispensabili per operare in questi settori e quali ritieni siano, in particolare, i punti di forza del tuo gruppo di lavoro?
Ciao Chiara, è un piacere essere ospitato sul tuo blog che seguo sempre con vivo interesse.
Per fare bene questo lavoro bisogna essere bravi comunicatori. Comunicare bene richiede tre abilità fondamentali: saper ascoltare, conoscere a fondo i media e i canali di distribuzione, essere in grado di confezionare un messaggio che venga compreso dal pubblico a cui è rivolto.
Bisogna avere una visione della comunicazione, visiva e verbale, orientata al design, perché un progetto ben fatto è sempre il risultato intenzionale di forma e funzione nel rispetto dei vincoli. Creatività, precisione e sensibilità guidano l’intero processo.
Infine, la comunicazione deve essere semplice, perché se riesci a dire tutto e a farti capire con il minor numero possibile di parole e segni è meglio.
Riguardo al mio gruppo di lavoro, il principale punto di forza risiede nello sposare completamente la causa del cliente, nel considerare il suo progetto come fosse davvero nostro, adoperandoci al massimo perché alla fine ottenga un risultato e non solo degli sforzi.
Ci comportiamo come un organismo sincretico e questa concezione olistica del gruppo, che privilegia l’intelligenza collettiva rispetto alle possibilità del singolo, è la vera forza dell’agenzia e costituisce il valore aggiunto per il cliente.
2. Il vostro blog aziendale, Pensieri laterali, propone articoli molto curati, mai banali, ricchi di spunti di riflessione: scrivete per un lettore ideale o il taglio divulgativo dei post è progettato per incuriosire e ispirare persone diverse?
Entrambe le cose. Diciamo che il nostro blog non è né verticale né orizzontale: è obliquo, come il quadrato presente nel nostro marchio! Trattiamo argomenti legati al branding, al design, alla comunicazione e al marketing, allungandoci a volte su temi più generali come il lavoro e la cultura digitale. Questo vuol dire che il nostro lettore ideale è una persona che per lavoro, passione o curiosità è interessata a queste materie e vuole saperne di più o in modo diverso.
Scriviamo perché ci piace farlo. Pensieri laterali non nasce con lo scopo di monetizzare, ma come spazio di condivisione delle idee. Questo ci concede il lusso di scrivere quello che vogliamo alla nostra maniera, senza essere costretti a inseguire i trend del momento e i volumi di ricerca. Lo facciamo sperando di incuriosire e, magari, anche di ispirare.
3. Approfondire senza annoiare è difficile… oppure, oggi, si ha meno tempo (o voglia?) di riflettere, confrontare punti di vista e crearsi un’opinione personale?
Condividi le tue osservazioni in merito (sia da comunicatore, sia da lettore).
Siamo ciò che leggiamo, verrebbe da dire.
Ci sono in giro troppi contenuti, più di quanti ne riesca a consumare la somma di tutti i lettori, ma non altrettanta qualità. Il pericolo da scongiurare è il livellamento verso il basso: da un lato c’è l’utente medio che ha sempre meno tempo (o voglia) di leggere, dall’altro una larga parte di chi produce contenuti che, per assecondare questo scenario e compiacere il pubblico (pena il rischio di venire ignorati), investe sempre meno tempo e risorse nella comunicazione di valore; il risultato è un progressivo impoverimento e appiattimento della qualità dei contenuti e la conseguente disabitudine alla ricerca, all’impegno e all’approfondimento da parte dei lettori.
Penso che non cedere al facile compromesso sia la barriera d’ingresso da erigere a difesa della produzione e del consumo di comunicazione contro la superficialità e il qualunquismo. Si tratta di rieducare il pubblico alla fruizione di contenuti utili e di qualità, offrendo spunti di interesse che riaccendano la voglia di leggere, di riflettere, di condividere e confrontarsi, che generino partecipazione attiva e restituiscano alla comunicazione il significato profondo che le proviene dall’etimo: mettere in comune.
4. La funzione educativa della comunicazione vale per il contenuto, ma anche per la forma; vale per i testi e per le immagini; vale per i blog, i social network, gli eventi dal vivo. Le pessime sorprese, però, sono sempre dietro l’angolo. Cosa hai imparato, in tal senso, nel corso della tua esperienza professionale?
La comunicazione permette il passaggio di informazioni e conoscenza da chi la produce a chi la consuma. Durante questo percorso vengono trasmessi stimoli che, in modo più o meno intenzionale e marcato, influenzano il comportamento intellettuale del destinatario. È questa la funzione educativa della comunicazione, un aspetto che chi fa il nostro lavoro non può ignorare e che, come sottolinei bene tu, riguarda la forma tanto quanto i contenuti.
Siamo naturalmente portati a farci un’idea di ciò che succede e di come funzionano le cose da quello che ci arriva attraverso i mezzi di comunicazione e vi attribuiamo carattere di veridicità e affidabilità soprattutto quando proviene dai professionisti del settore. Non solo in relazione a quello che viene detto, ma anche al modo in cui viene detto. Per questo la forma è importante al pari del contenuto.
Da un esperto di comunicazione ci si aspetta precisione e correttezza formale. Purtroppo questo non sempre accade, specialmente nel caso della comunicazione verbale, troppo spesso invasa da errori che maltrattano e abbrutiscono la lingua o dovuti a un utilizzo distratto del linguaggio (come l’uso improprio del “piuttosto che”, degli apici al posto degli accenti, della dizione sbagliata, ecc.). I documenti web ne sono pieni, ma anche le trasmissioni radiotelevisive e le pubblicità, nemmeno la carta stampata viene risparmiata. Il problema, grave di per sé, peggiora nel momento in cui questo modo di agire legittima il pubblico a fare lo stesso, spingendo le persone a ritenere che sia corretto proprio perché a farlo sono molti professionisti.
Chi lavora nell’ambito della comunicazione ha il dovere etico e morale di apportare crescita intellettuale, di dare il buon esempio, di creare significati positivi e generativi. È un modo sano di intendere questa professione, vantaggioso per tutti, per chi la pratica e per chi ne è destinatario. È quello che ho imparato in questi anni e che più mi dà soddisfazione.
5. A ciascuno il suo stile: si parla tanto di personal branding, ma in giro c’è molta imitazione e poca unicità. Qual è, a tuo parere, il giusto compromesso tra “essere” e “apparire”?
Un articolo che ho scritto tempo fa ha come titolo “Meglio essere gli unici che i migliori”. È una cosa in cui credo profondamente. Essere migliori degli altri presuppone la competizione su caratteristiche comuni sperando di essere preferiti da chi deve sceglierci; essere unici significa offrire un valore che ci distingue dagli altri e per il quale veniamo scelti. È questo il vero senso del personal branding.
L’imitazione può portare (forse) a essere migliori, ma è decisamente un proposito difficile da mantenere nel lungo periodo perché si corre il rischio di rivelare un modo di essere diverso da come si tenta di apparire. Meglio lasciar perdere.
Come si diventa unici, allora? Per essere unici bisogna essere autentici. Per definizione, se sei te stesso sei diverso da tutti gli altri. “Conosci te stesso”, diceva Socrate, e aveva proprio ragione. Questo è il punto da cui partire, capire bene ciò che si è e ciò che si può diventare, lavorare sulle proprie peculiarità per definire uno stile personale e una proposta di valore differente.
Quando si è autentici, “essere” e “apparire” coincidono, perché l’immagine corrisponde perfettamente all’identità. Ecco il mio compromesso.
6. Promuovere una comunicazione costruttiva nei luoghi di lavoro e valorizzare i talenti di ogni componente del team: la formula magica per collaborazioni professionali efficaci e durature. Pensi sia giusto sensibilizzare su questi temi? Quanto è importante per voi la comunicazione interna?
Un ambiente di lavoro sano si costruisce a partire dalle persone e la comunicazione interna è fondamentale per creare il giusto contesto. Condividere gli stessi valori, ideali e convinzioni aiuta a definire la cultura dell’azienda e, soprattutto, dà origine alla fiducia. Quando c’è fiducia si collabora senza competere, nell’interesse di tutti, si vive in modo sereno e si è più produttivi.
Circa la valorizzazione dei talenti personali, sono convinto che le attitudini e le potenzialità vengano prima delle competenze, soprattutto in un ambiente di lavoro creativo. È necessario saper riconoscere e sviluppare i tratti della personalità, le capacità comportamentali, le predisposizioni e le inclinazioni naturali di ogni componente e capire come poterle mettere al servizio del gruppo.
Sensibilizzare su questi temi è davvero importante, dalla piccola alla grande impresa, perché migliora le condizioni di lavoro e più in generale la vita delle persone.
Infine, una cosa che ritengo indispensabile è ridere: prendere il lavoro sul serio, ma divertendosi.
Ti ringrazio per la splendida intervista, è stato un vero piacere.
Grata per la disponibilità e simpatia dimostrate, invito a seguire CODENCODE anche su Facebook e Twitter. Questa chiacchierata digitale mi ha permesso di approfondire degli argomenti a cui tengo molto: e chi avrà tempo (e voglia) di leggere… sono certa apprezzerà! 🙂